di Luca De Netto
Mai come in questi giorni si respira aria di attendismo: quelli come noi, sono schierati in attesa che le forze anti-nazionali, mosse da egoismi e brama di potere, non riescano nel loro disegno di “golpe” atto a rovesciare il Governo voluto dal popolo; gli altri, a sperare di distruggere il nemico di sempre ed aprire le porte dell’Italia alle tecnocrazie e alla speculazione economica internazionale.
E’ possibile però tornare al senso della Politica, o almeno fare dei ragionamenti squisitamente politici anche in un momento difficile come questo, in una polarizzazione così forte?
Non si può certo vivere tutto il giorno con un profondo senso di rabbia e di angoscia, anche quando si avverte l’arroganza e la supponenza di tutti coloro che, sconfitti elettoralmente o espressione di una visione aliena dalla realtà sociale, fanno di tutto per imporsi come oligarchia sulle teste e sui cuori del nostro popolo.
Una banda di rancorosi, di fasce sociali abituati ai privilegi, caste intoccabili che si coalizzano tra loro contro il Nemico comune, contro la riforma del sistema Italia.
Lasciamo dunque a costoro il “loro odio mancino”, e proviamo anche noi ad uscire dalla veste degli incazzati, di quei romantici cavalieri senza tempo innamorati della nostra Patria, talmente folli d’amore da unirsi al coro per dire “Aut Caesar, aut nihil”.
Torniamo alle radici, al senso, al perché, al tutto.
Politica come passione, politica come amore, politica come esempio, politica come weeltanschauung.
Questa strana parola tedesca la cui traduzione approssimativa è “visione del mondo e della vita”.
Già, proprio quell’orizzonte ideale da trasmettere e concretizzare nelle scelte, siano esse di natura legislativa, che atti amministrativi o percorsi economici e sociali.
Non ideologia, quella mai, soprattutto nell’accezione moderna che il termine ha assunto. Ma visione del mondo, alla cui base vi è un percorso di formazione, di sé, prima che degli altri.
Formazione? A che serve? Questa illustre sconosciuta, si potrebbe pensare guardandosi intorno in tutti gli ambienti, dall’università al mondo del lavoro, dal piccolo paesino, fino ai più alti consessi…
Eppure senza formazione, non c’è politica, non c’è cultura, non c’è sviluppo. E soprattutto non ci sono le risposte migliori e più giuste da dare alla nostra gente ed al nostro popolo.
Perché fare politica significa fornire risposte fattibili ai problemi che la realtà ci mette davanti. Ma non solo: significa anche anticipare i possibili problemi, capire l’evoluzione del sociale, e riuscire a sintetizzare le proprie idee con il dato concreto, prima che questo venga in essere.
Non è facile, anzi.
Il più delle volte incontriamo gente che intende la politica in tutt’altra accezione. Soprattutto la formazione, viene considerata superflua o inutile. In realtà, ragionando in termini di consenso individuale ed istantaneo, le energie spese in formazione sono persino dannose: tolgono tempo e spazio, succhiano forza vitale, e spesso non sono tangibili in termini di risultati.
Eppure, come dicevano i nostri progenitori, gutta cavat lapidem.
Un goccia che pian piano si trasforma in un rivolo, poi in un torrente, infine in un fiume sotterraneo che scava, si fa strada, trascina, si ingrossa.
Sempre più impetuoso, e sempre più inarrestabile viaggia tra le rocce carsiche della banalità quotidiana e della mancanza di “senso” nella vita tecnologica di noi cittadini del terzo millennio.
Eppure, per assurdo che possa sembrare, la società nichilista voluta e costruita dalle culture sinistre e radicali, diventa terreno facile da scavare, dissodare, e rendere fertile.
Lo sforzo sulla formazione, dunque, resta fondamentale: il centrodestra non è un’accozzaglia di persone che si riconoscono solo in un logo o in un grande leader.
E’ molto di più: esso è un progetto culturale, è una visione del mondo, è un sistema di valori che oggi può essere politicamente espresso dal PDL e dalla Lega, e dalla straordinaria capacità di sintesi di Silvio Berlusconi, ma che domani continuerà ad esistere ed esprimersi indipendentemente dal contenitore, dai nomi e dalle persone.
La differenza tra noi e la sinistra è proprio questa: noi abbiamo una weeltanschauung vitalista, solare, perfettamente aderente alla realtà sociale, vincente, ed in grado di rappresentare l’identità più profonda del nostro popolo, e per questo perfettamente funzionale nell’oliare i meccanismi della politica e delle amministrazioni per fornire risposte.
Loro avevano una ideologica geometrica, perfettamente costruita a tavolino, dimostratasi fallace: oggi, non gli resta che scadere nell’odio verso il capo del governo e nostro Presidente, nel nichilismo dei radicali, o nella difesa del patriottismo costituzionale, ossia dei pezzi di carta.
La sinistra è fallita perché è morta la sua cultura, perché non è più in grado di esprimere una visione della vita, un grande progetto sistematico sull’uomo e per l’uomo. In realtà, sin dalla sua nascita con il 1793, ha sempre espresso qualcosa contro l’uomo e contro la realtà. Ed oggi la realtà le sta chiedendo il conto…
Noi invece dobbiamo essere consci che la presenza quasi provvidenziale di Berlusconi, il PDL – che per la prima volta tiene insieme la destra, il centro e il socialismo nazionale riformista -, i fattori internazionali, la crisi economica, sono tutti elementi che ci consentono di giocare una grande partita.
Ed è tangibile il fermento che il centrodestra italiano sta promuovendo anche in termini di cultura politica e di riflessione, con un’attenzione vera alla formazione.
Vogliamo forse negare che tutto il gruppo di Comunione e Liberazione, che fa capo al governatore della Lombardia Formigoni, non dia un ruolo primario alla crescita personale di ogni singolo “militante” dell’ottima associazione cattolica?
O che Gianni Alemanno, con la fondazione Nuova Italia, non stia cercando una sintesi tra la cultura conservatrice, quella comunitaria ed il personalismo cristiano, investendo sulla formazione di una nuova classe dirigente, lentamente preparata in anni ed anni di incontri e sacrifici?
O ancora che l’attenzione verso un “modello antropologico” non sia presente nell’azione politica di Giorgia Meloni?
Certo, l’elenco di chi cerca di fornire delle direttrici, potrebbe continuare e passare da Gaetano Quagliariello a Stefania Craxi, da Maurizio Sacconi a Giulio Tremonti, senza dimenticare il lavoro anche culturale svolto da Alfredo Mantovano con Progetto Osservatorio, accanto a quello tutto politico di sottosegretario agli Interni.
Obietterà qualcuno, forse ironicamente, che le convention, i libri, i convegni, i dibattiti, i corsi, la militanza, l’abnegazione, lo stile, non portano voti, e comunque non modificano gli assetti di potere sui territori.
Occorre rispondere a costoro, che chi fa politica, deve avere la capacità di distinguere i momenti; momenti in cui occorre compattare, da quelli in cui occorre diversificare, momenti in cui si cerca il consenso, rispetto a quelli in cui si investe in qualità: tutti sono necessari, ed hanno tempi che in genere (e per fortuna) non coincidono.
Poi è chiaro che ci saranno sempre dei territori particolarmente difficili, in cui il potere è diventato sistema, dove non è semplice innescare il cambiamento di rotta.
Ma in realtà, tutto il lavoro formativo, oltre ad avere una funzione fondamentale nel creare classi dirigenti capaci di ideare, inventare, trovare risposte, risolvere questioni, esprimere un dato valoriale, serve ad un qualcosa che sta alla base di tutto: educare all’etica del sacrificio, e ricordare ad ogni singola persona che non è affatto perfetta, che deve sempre essere umile, e che deve compiere ogni giorno un continuo sforzo di miglioramento personale, chiedendosi “chi sono, da dove vengo, dove voglio andare, cosa posso imparare dagli altri, e cosa posso fare per gli altri”.
Perché uno dei rischi della politica è la perdita dell’umiltà, e l’altro, collegato, l’allontanamento dalla realtà.
E’ ovvio che non tutti, pur dopo anni ed anni di formazione o di impegno, diventeranno sindaci, parlamentari, consiglieri regionali, amministratori. Ma che importa! L’obiettivo non può essere esclusivamente quello, perché l’agire politico non è solo quello istituzionale: è questo dato merita di essere sottolineato.
Senza ricorrere ad Aristotele, va comunque ribadito che in quanto uomini facenti parte di una comunità, tendiamo ad agire politicamente, ossia a compiere azioni che in qualche modo si riflettono sugli altri.
Dunque una persona che non rinuncia ad un continuo processo formativo, ma anzi lo cerca, in ogni professione che va a svolgere ed in ogni tipo di relazione sociale, è più portata ad incarnare un tipo umano, un modello, e ad esprimere la propria componente valoriale, con ciò facendo di fatto politica.
Il medico cattolico, farà di tutto per evitare un aborto, indicando alla madre le strutture adeguate a cui rivolgersi per avere sostegno, così come l’architetto “identitario” farà della bellezza e del rispetto della tradizione un canone di riferimento per i propri lavori.
E non avranno costoro raggiunto obiettivi politici, forse in maniera più efficiente dell’assessore inconcludente, magari piazzato li perché amico di Tizio, o per pura casualità?
Del resto, chi agisce per se stesso, sia che diventi un amministratore, che nel lavoro che svolge, sarà rappresentativo soltanto del proprio ego.
Ma che ricchezza ha poi? Che valore aggiunto porta agli altri? Certo, magari potrà pure ottenere qualcosa, o come si suol dire, riuscire ad “arrivare”.
Ma se l’obiettivo è “arrivare”, se tutto si riduce a soddisfare la propria brama di potere e a rappresentare il proprio io, e se coloro che la pensano così non sono pochi, allora, a maggior ragione, occorre continuare ad investire in formazione.
E dobbiamo farlo tutti, nel nostro piccolo, cercando di affiancarci - perché la differenza la fanno anche i compagni di strada, ed i motivi per cui si scelgono questi ed i punti di riferimento - a persone, giovani ed adulti, a cui trasmettere qualcosa in termini di contenuti, e da cui apprendere, in uno scambio continuo, senza paura di essere “superati”.
Per una diversa forma mentis. Per cambiare e migliorarsi tutti. E migliorare la società.
Con il centrodestra, per la nostra weeltanschauung eterna, oggi come ieri ed oggi come domani, per costruire la Nuova Italia.
Sia che dovessimo essere improvvisamente chiamati a ricoprire dei ruoli istituzionali, sia che questo non dovesse mai accadere, noi ci saremo comunque.
Per amore, e soltanto per amore.
E’ possibile però tornare al senso della Politica, o almeno fare dei ragionamenti squisitamente politici anche in un momento difficile come questo, in una polarizzazione così forte?
Non si può certo vivere tutto il giorno con un profondo senso di rabbia e di angoscia, anche quando si avverte l’arroganza e la supponenza di tutti coloro che, sconfitti elettoralmente o espressione di una visione aliena dalla realtà sociale, fanno di tutto per imporsi come oligarchia sulle teste e sui cuori del nostro popolo.
Una banda di rancorosi, di fasce sociali abituati ai privilegi, caste intoccabili che si coalizzano tra loro contro il Nemico comune, contro la riforma del sistema Italia.
Lasciamo dunque a costoro il “loro odio mancino”, e proviamo anche noi ad uscire dalla veste degli incazzati, di quei romantici cavalieri senza tempo innamorati della nostra Patria, talmente folli d’amore da unirsi al coro per dire “Aut Caesar, aut nihil”.
Torniamo alle radici, al senso, al perché, al tutto.
Politica come passione, politica come amore, politica come esempio, politica come weeltanschauung.
Questa strana parola tedesca la cui traduzione approssimativa è “visione del mondo e della vita”.
Già, proprio quell’orizzonte ideale da trasmettere e concretizzare nelle scelte, siano esse di natura legislativa, che atti amministrativi o percorsi economici e sociali.
Non ideologia, quella mai, soprattutto nell’accezione moderna che il termine ha assunto. Ma visione del mondo, alla cui base vi è un percorso di formazione, di sé, prima che degli altri.
Formazione? A che serve? Questa illustre sconosciuta, si potrebbe pensare guardandosi intorno in tutti gli ambienti, dall’università al mondo del lavoro, dal piccolo paesino, fino ai più alti consessi…
Eppure senza formazione, non c’è politica, non c’è cultura, non c’è sviluppo. E soprattutto non ci sono le risposte migliori e più giuste da dare alla nostra gente ed al nostro popolo.
Perché fare politica significa fornire risposte fattibili ai problemi che la realtà ci mette davanti. Ma non solo: significa anche anticipare i possibili problemi, capire l’evoluzione del sociale, e riuscire a sintetizzare le proprie idee con il dato concreto, prima che questo venga in essere.
Non è facile, anzi.
Il più delle volte incontriamo gente che intende la politica in tutt’altra accezione. Soprattutto la formazione, viene considerata superflua o inutile. In realtà, ragionando in termini di consenso individuale ed istantaneo, le energie spese in formazione sono persino dannose: tolgono tempo e spazio, succhiano forza vitale, e spesso non sono tangibili in termini di risultati.
Eppure, come dicevano i nostri progenitori, gutta cavat lapidem.
Un goccia che pian piano si trasforma in un rivolo, poi in un torrente, infine in un fiume sotterraneo che scava, si fa strada, trascina, si ingrossa.
Sempre più impetuoso, e sempre più inarrestabile viaggia tra le rocce carsiche della banalità quotidiana e della mancanza di “senso” nella vita tecnologica di noi cittadini del terzo millennio.
Eppure, per assurdo che possa sembrare, la società nichilista voluta e costruita dalle culture sinistre e radicali, diventa terreno facile da scavare, dissodare, e rendere fertile.
Lo sforzo sulla formazione, dunque, resta fondamentale: il centrodestra non è un’accozzaglia di persone che si riconoscono solo in un logo o in un grande leader.
E’ molto di più: esso è un progetto culturale, è una visione del mondo, è un sistema di valori che oggi può essere politicamente espresso dal PDL e dalla Lega, e dalla straordinaria capacità di sintesi di Silvio Berlusconi, ma che domani continuerà ad esistere ed esprimersi indipendentemente dal contenitore, dai nomi e dalle persone.
La differenza tra noi e la sinistra è proprio questa: noi abbiamo una weeltanschauung vitalista, solare, perfettamente aderente alla realtà sociale, vincente, ed in grado di rappresentare l’identità più profonda del nostro popolo, e per questo perfettamente funzionale nell’oliare i meccanismi della politica e delle amministrazioni per fornire risposte.
Loro avevano una ideologica geometrica, perfettamente costruita a tavolino, dimostratasi fallace: oggi, non gli resta che scadere nell’odio verso il capo del governo e nostro Presidente, nel nichilismo dei radicali, o nella difesa del patriottismo costituzionale, ossia dei pezzi di carta.
La sinistra è fallita perché è morta la sua cultura, perché non è più in grado di esprimere una visione della vita, un grande progetto sistematico sull’uomo e per l’uomo. In realtà, sin dalla sua nascita con il 1793, ha sempre espresso qualcosa contro l’uomo e contro la realtà. Ed oggi la realtà le sta chiedendo il conto…
Noi invece dobbiamo essere consci che la presenza quasi provvidenziale di Berlusconi, il PDL – che per la prima volta tiene insieme la destra, il centro e il socialismo nazionale riformista -, i fattori internazionali, la crisi economica, sono tutti elementi che ci consentono di giocare una grande partita.
Ed è tangibile il fermento che il centrodestra italiano sta promuovendo anche in termini di cultura politica e di riflessione, con un’attenzione vera alla formazione.
Vogliamo forse negare che tutto il gruppo di Comunione e Liberazione, che fa capo al governatore della Lombardia Formigoni, non dia un ruolo primario alla crescita personale di ogni singolo “militante” dell’ottima associazione cattolica?
O che Gianni Alemanno, con la fondazione Nuova Italia, non stia cercando una sintesi tra la cultura conservatrice, quella comunitaria ed il personalismo cristiano, investendo sulla formazione di una nuova classe dirigente, lentamente preparata in anni ed anni di incontri e sacrifici?
O ancora che l’attenzione verso un “modello antropologico” non sia presente nell’azione politica di Giorgia Meloni?
Certo, l’elenco di chi cerca di fornire delle direttrici, potrebbe continuare e passare da Gaetano Quagliariello a Stefania Craxi, da Maurizio Sacconi a Giulio Tremonti, senza dimenticare il lavoro anche culturale svolto da Alfredo Mantovano con Progetto Osservatorio, accanto a quello tutto politico di sottosegretario agli Interni.
Obietterà qualcuno, forse ironicamente, che le convention, i libri, i convegni, i dibattiti, i corsi, la militanza, l’abnegazione, lo stile, non portano voti, e comunque non modificano gli assetti di potere sui territori.
Occorre rispondere a costoro, che chi fa politica, deve avere la capacità di distinguere i momenti; momenti in cui occorre compattare, da quelli in cui occorre diversificare, momenti in cui si cerca il consenso, rispetto a quelli in cui si investe in qualità: tutti sono necessari, ed hanno tempi che in genere (e per fortuna) non coincidono.
Poi è chiaro che ci saranno sempre dei territori particolarmente difficili, in cui il potere è diventato sistema, dove non è semplice innescare il cambiamento di rotta.
Ma in realtà, tutto il lavoro formativo, oltre ad avere una funzione fondamentale nel creare classi dirigenti capaci di ideare, inventare, trovare risposte, risolvere questioni, esprimere un dato valoriale, serve ad un qualcosa che sta alla base di tutto: educare all’etica del sacrificio, e ricordare ad ogni singola persona che non è affatto perfetta, che deve sempre essere umile, e che deve compiere ogni giorno un continuo sforzo di miglioramento personale, chiedendosi “chi sono, da dove vengo, dove voglio andare, cosa posso imparare dagli altri, e cosa posso fare per gli altri”.
Perché uno dei rischi della politica è la perdita dell’umiltà, e l’altro, collegato, l’allontanamento dalla realtà.
E’ ovvio che non tutti, pur dopo anni ed anni di formazione o di impegno, diventeranno sindaci, parlamentari, consiglieri regionali, amministratori. Ma che importa! L’obiettivo non può essere esclusivamente quello, perché l’agire politico non è solo quello istituzionale: è questo dato merita di essere sottolineato.
Senza ricorrere ad Aristotele, va comunque ribadito che in quanto uomini facenti parte di una comunità, tendiamo ad agire politicamente, ossia a compiere azioni che in qualche modo si riflettono sugli altri.
Dunque una persona che non rinuncia ad un continuo processo formativo, ma anzi lo cerca, in ogni professione che va a svolgere ed in ogni tipo di relazione sociale, è più portata ad incarnare un tipo umano, un modello, e ad esprimere la propria componente valoriale, con ciò facendo di fatto politica.
Il medico cattolico, farà di tutto per evitare un aborto, indicando alla madre le strutture adeguate a cui rivolgersi per avere sostegno, così come l’architetto “identitario” farà della bellezza e del rispetto della tradizione un canone di riferimento per i propri lavori.
E non avranno costoro raggiunto obiettivi politici, forse in maniera più efficiente dell’assessore inconcludente, magari piazzato li perché amico di Tizio, o per pura casualità?
Del resto, chi agisce per se stesso, sia che diventi un amministratore, che nel lavoro che svolge, sarà rappresentativo soltanto del proprio ego.
Ma che ricchezza ha poi? Che valore aggiunto porta agli altri? Certo, magari potrà pure ottenere qualcosa, o come si suol dire, riuscire ad “arrivare”.
Ma se l’obiettivo è “arrivare”, se tutto si riduce a soddisfare la propria brama di potere e a rappresentare il proprio io, e se coloro che la pensano così non sono pochi, allora, a maggior ragione, occorre continuare ad investire in formazione.
E dobbiamo farlo tutti, nel nostro piccolo, cercando di affiancarci - perché la differenza la fanno anche i compagni di strada, ed i motivi per cui si scelgono questi ed i punti di riferimento - a persone, giovani ed adulti, a cui trasmettere qualcosa in termini di contenuti, e da cui apprendere, in uno scambio continuo, senza paura di essere “superati”.
Per una diversa forma mentis. Per cambiare e migliorarsi tutti. E migliorare la società.
Con il centrodestra, per la nostra weeltanschauung eterna, oggi come ieri ed oggi come domani, per costruire la Nuova Italia.
Sia che dovessimo essere improvvisamente chiamati a ricoprire dei ruoli istituzionali, sia che questo non dovesse mai accadere, noi ci saremo comunque.
Per amore, e soltanto per amore.
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