giovedì 22 settembre 2011

SE CON L’ANTIPOLITICA MUORE LA “DEMOCRAZIA”

di Luca De Netto*


Esiste un unico filo rosso che lega lo sdegno contro i c.d. costi della politica, la crisi economica, le posizioni antigovernative delle opposizioni, le richieste di abolire diversi enti, le indagini politicizzate di certa magistratura militante, le sirene delle privatizzazioni.

Esso colpisce al cuore la politica, dipinta, nell’immaginario collettivo, come una sorta di comitato di incoscienti, privilegiati, intoccabili, inquisiti.

Un’atmosfera del genere gli italiani l’hanno già respirata nel 1992, con l’aprirsi di Tangentopoli ed il crollo, conseguente, della Prima Repubblica.

Anche allora, la magistratura da un lato, e la speculazione finanziaria internazionale dall’altro, fecero fronte comune per cancellare un’intera classe dirigente e fare spazio a qualcos’altro.

Il progetto, come sappiamo, fu fermato dagli italiani, che si riconobbero nelle nuove formazioni del centrodestra che, allora, rappresentavano il cambiamento ed una generazione nuova, spesso composta da giovani, che si prestava al servizio della cosa pubblica.

Ma oggi, le cose stanno diversamente: è fuor di dubbio che tutte le forze politiche attuali non riescano più a creare, se non entusiasmo, almeno un minimo di fiducia nell’elettorato, sempre più propenso ad astenersi o peggio a rincorrere le chimere dell’antipolitica.

La stampa, che fa opinione, non può – proprio come nel ’92 - che andare giù, contro questi privilegiati incapaci, e chiedere interventi per abolire enti e centri decisionali piccoli.

A ragione Marcello de Angelis, direttore del Secolo d’Italia, indica nell’abolizione del sistema democratico parlamentare la conseguenza possibile di questa escalation, di cui l’antiberlusconismo rappresenta un tassello importante. Come dire che per una sorta di legge del contrappasso, più si attacca in questa fase Berlusconi ed il Governo, più la democrazia è a rischio, perché oggi soltanto l’Esecutivo sarebbe rimasto l’unico presidio in grado di tutelare quella poca sovranità rimasta al nostro Paese.

Ora, sia chiaro che il pensiero conservatore, a cui la destra dovrebbe riferirsi nonostante spesso abbia preferito utilizzare aggettivi meno impegnativi e più edulcorati – quale ad esempio quello di moderato - , non è mai stato un grande sostenitore della democrazia parlamentare.

Anzi, molto spesso esso si è posto criticamente nei confronti di un sistema politico che dovrebbe essere soltanto uno degli assetti possibili, e non invece un valore intoccabile.

Del resto, è sempre stata questa la linea del pensiero “occidentale”, che, sin dai primi filosofi greci, ha delineato come valori la libertà ed il bene comune, lasciando alla libera discussione e sperimentazione le diverse forme di governo in grado di realizzare e tutelare quei valori.

Ecco che quindi la scomparsa del parlamentarismo, se dovesse mai realizzarsi, non dovrebbe creare drammi in sé, perché quello che va difeso, a spada tratta e con tutta la forza possibile, è la partecipazione popolare, la conduzione della cosa pubblica su decisione del Popolo sovrano.

Fin dall’antica Roma, è infatti il Popolo il detentore dell’imperium, che, a seconda dei casi, viene esercitato o direttamente, o concesso ai Consoli, al Rex, al Princeps.

Ed è chiaro che la partecipazione popolare si realizza solo se si recupera la Politica, se si torna a parlare di temi e di contenuti, se finalmente si riesce a selezionare una classe dirigente per meriti e competenze, se chi amministra realizza davvero il bene comune.

L’antipolitica, cioè, si sconfigge con la Politica autentica, spiegando alla gente che cioè fa schifo - quando lo fa, e spesso lo fa - non è la Politica, ma semmai determinati politici che inseguono solo il proprio tornaconto.

E va ribadito che scagliarsi contro una casta di incapaci, non può affatto bastare, se non si prende in mano la situazione partecipando alla cosa pubblica direttamente, per mezzo di comitati, associazioni, circoli, movimenti, partiti.

Comprendendo, tutti, quando è il momento di fare opposizione, e quando, invece, l'interesse nazionale chiede che un Governo, sia esso di destra, di centro o di sinistra, sia sostenuto almeno il giusto per porre un argine agli attacchi speculativi o per affrontare gravi emergenze.

Altrimenti, fatti fuori i politici, e con essi il parlamentarismo democratico, eliminati gli enti ancora controllabili e vicini al cittadino, privatizzati i beni dello Stato, e lasciato ogni potere decisionale alla finanza, alla magistratura, alla stampa, termina anche la libertà, che coincide, come insegnava Gaber, con la partecipazione.

Ed allora, ci ritroveremmo, di fatto, ad essere cittadini di uno Stato commissariato dalla banche, dalle procure, o dai giornali, senza che il popolo sovrano possa più incidere e dire nulla.

Salvo l’avvento di un dictator rei gerendae causa o peggio ad un dictator rei publicae constituendae causa, come accadeva a Roma in situazioni di emergenza e di destabilizzazione completa.

Con il rischio che, non essendoci più i cogenti vincoli del diritto romano (secondo il quale compiuta l’opera di rinnovamento della Res Publica, il Dictator riaffidava il potere alle magistrature ordinarie o si ritirava a vita privata), si rivedano i macabri gesti di Piazzale Loreto.

Vale la pena correre il rischio? Vale la pena gettare via il bambino e l’acqua sporca, ossia la Politica insieme ai politici? Meglio, quindi, partecipare, discutere, dibattere. Per il bene della libertà e per il diritto-dovere del Popolo di condurre i destini della Patria.

* Dirigente Provinciale PDL Brindisi


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