sabato 4 febbraio 2012

Rimbocchiamoci le maniche


Il Popolo della Libertà approfitti della “pausa della politica” per riflettere.

di Fabrizio Fornaciari

Ha ragione Tisci quando nella sua “Lettera aperta al centrodestra” ( pubblicata su plusultraweb.it lo scorso 23 gennaio n.d.r.) chiede al Popolo della Libertà di ascoltare quegli italiani che lavorano e che non sono rappresentati né da giornali e né da intellettuali per chiedere a Monti e al suo governo di cambiare le cose.
La mia riflessione parte non solo dalle proteste che stanno bloccando la nostra penisola, sulle quali Antonio si è già espresso e con la solita ottima capacità di analisi, ma sul ruolo del nostro partito dalla sua recente nascita fino a quando si è insediato il nuovo governo Monti e alle recenti proteste caratterizzate da un “vuoto” della politica.
Questo fatto nuovo, di Berlusconi e dell’intera politica che vengono “commissariati” dai tecnici, per molti costituisce la fine della Seconda Repubblica e deve favorire una importante riflessione all’interno del centrodestra.
Nel 2008 anno in cui Berlusconi vince le elezioni con il 46,8% appoggiato da Popolo della Libertà, Lega Nord e MPA, il centrodestra vive un momento di massimo consenso. Quell’ondata di consenso ci permetterà di riconquistare diverse regioni, province e città dove fino a qualche tempo prima non ci saremmo neanche sognati lontanamente di poter vincere.
Nonostante il grande entusiasmo del congresso fondativo del Popolo della Libertà celebratosi il 27 marzo 2009 dopo lo scioglimento di Alleanza Nazionale, Forza Italia, Democrazia cristiana per le autonomie e altri movimenti minori facesse ben sperare, le migliori intenzioni sono svanite nello spazio di poco tempo.
Poi è arrivata la crisi con Fini, lo scandalo del “bunga-bunga”, il ciclone giudiziario che si è innescato fino ad arrivare in ultimo alle agenzie internazionali di rating che hanno deciso, influenzando l’Europa, di voler disarcionare il Cav.
La sinistra di casa nostra, ormai global e, per dirla con Tremonti, totalmente mercatista, una volta affezionata a Gramsci, Togliatti, Berlinguer, alle feste dell’Unità e alle bandiere rosse invocava il “dio spread” e sosteneva  che una volta fatto fuori Berlusconi i mercati avrebbero ripreso fiducia e l’Italia sarebbe uscita dalla crisi. Così non è stato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Prima o poi si ritornerà alle urne e finalmente il popolo sovrano tornerà a decidere del proprio destino.
E proprio in vista delle prossime elezioni il centrodestra deve iniziare a operare una serie di profonde e importanti riflessioni.
Dal ’94 ad oggi il centrodestra, pur con assetti diversi e con alcuni interpreti che si sono alternati, ha governato per ben tre volte e ha vissuto una grande contraddizione: lo schieramento presieduto dal grande comunicatore, dal titolare di reti televisive, giornali e case editrici molte volte non è stato in grado di comunicare in maniera efficace i provvedimenti e le riforme approvate ed è stato ricordato più per le liti interne o per certe intemperanze della Lega che non per le leggi e le azioni realizzate nell’interesse del popolo italiano.
Altro grande paradosso di questi anni è stato quello di campare di rendita a livello locale per “l’effetto Berlusconi”: limitarsi ad aspettare il momento storico favorevole per salire al governo senza pensare invece a una strategia complessiva per recuperare metro per metro i quartieri, le città, le province e le regioni. Assente in molti casi dal mondo dell’associazionismo, delle cooperative sociali, delle categorie produttive, dei sindacati, persino delle parrocchie, il centrodestra ha lasciato intere praterie ai compagni che hanno così costituito un “para-stato” che spesso risulta decisivo per l’esito delle dispute elettorali. Non vi è stata, in questo senso, una strategia “gramsciana” per ribaltare questa situazione che in molti casi e in molti angoli della penisola è totalmente immutata anche laddove governiamo.
In tanti anni di governo si è fatto ben poco per scalfire l’egemonia culturale della sinistra nelle redazioni, nelle università, nel cinema, nel teatro. Filtra da questi contesti una certa cultura che più delle volte invece di suscitare emozioni e suggestioni alimenta in maniera scorretta la propaganda contro la solita destra rozza, razzista, fascista,ecc…
Di questo però, condivido una considerazione fatta da Marcello Veneziani sulle colonne de “Il Giornale”, il responsabile risponde al nome di Gianfranco Fini : non si poteva certo pretendere da Berlusconi, esperienza da imprenditore e lontano dalla vita delle sezioni e della militanza, che si preoccupasse di trasformare in leggi certe idee e proposte relegate per mezzo secolo all’opposizione. Berlusconi doveva mandare a casa la sinistra, il compito di innervare di contenuti lo schieramento di centrodestra era dell’erede di Almirante che si è dimenticato del presidenzialismo, della partecipazione degli operai alla gestione delle imprese, della sacralità della vita dal concepimento fino alla morte, della battaglia per la casa prima agli italiani, della memoria storica di generazioni e generazioni di militanti cresciuti sotto la fiaccola e la fiamma tricolore che con il loro impegno hanno scandito la vita della destra politica italiana ancor prima che divenisse forza di governo.
E così che i tatticismi prima, gli attacchi di “moderazione” e le abiure poi, la Tulliani e la casa di Montecarlo alla fine hanno impedito alla destra di frantumare quella egemonia a causa delle bizzarrie del suo ex-leader.
Altro grosso problema è stato l’assenza di un vero e proprio partito: è certo impensabile oggi nel 2012 riproporre un soggetto politico come i c.d. “partiti tradizionali”, però un partito radicato e pensante che si faccia carico delle istanze della società civile, al cui interno si possa discutere di tematiche serie e non riunirsi solo e soltanto al momento del rito della conta congressuale, penso rappresenti la soluzione auspicata da tutti coloro che augurano lunga vita al PDL e non si sono fatti sedurre da certe sirene “terzopoliste”. L’assenza del partito ha fatto sì che i suoi interpreti, gli eletti nelle istituzioni locali in primis, si ritrovassero il più delle volte catapultati nell’agone politico senza un minimo di formazione, senza sapere cosa fosse una delibera di un consiglio comunale e con grosse difficoltà a trasformare la volontà popolare in atti amministrativi concreti. La formazione è stata fino ad oggi a totale appannaggio delle varie fondazioni (l’abito buono delle correnti) in attesa, finora invano, che gli organi ufficiali del PDL muovessero un dito.
Se vogliamo essere veramente il “partito degli italiani” c’è bisogno di dare un senso più profondo alla nostra azione politica. Mi basterebbe che già una piccola parte del nostro partito e del nostro movimento giovanile iniziasse a porsi questi interrogativi e a comportarsi di conseguenza al fine di contagiare tutti gli altri.
Penso che, quella che definisco la mia “Comunità”, quel gruppo di giovani che si ritrova ogni estate, prima di riprendere l’attività sui territori, a discutere di problemi politici in un’atmosfera suggestiva e preferendo le tende alle comode stanze d’albergo da convention; mi rivolgo a tutti quei giovani della Comunità che si trovano oggi ad avere un ruolo nelle istituzioni e spesso all’interno di queste rappresentano la parte migliore del PDL proprio per aver frequentato quella palestra di vita rappresentata dal movimento giovanile; mi rivolgo ai nostri fratelli maggiori, che ci hanno indicato la rotta e che nonostante oggi siano parlamentari, consiglieri regionali o professionisti di successo conservano ancora una certa lucidità nella riflessione e nella elaborazione politica non ancora incrostata dai giochi di palazzo o dalla monotonia del quotidiano ( quelli di “Le radici e il progetto” do you remember revolution? n.d.r.), beh penso che, intanto da noi, questi grossi problemi debbano essere affrontati e capire innanzitutto cosa possiamo fare per provare a risolverli, come rimboccarci le maniche ed impiegare efficacemente le nostre energie per raggiungere l’obiettivo.
Un grosso dibattito, non è sufficiente qualche “tweet”, sui problemi di comunicazione, sulla necessità di un maggior radicamento meta-politico, sullo sforzo di arrivare al radicamento popolare dei valori della destra, sul ruolo del partito e sulla formazione dei militanti, dei quadri e degli eletti.
Arriverà prima o poi un dopo-Berlusconi e non ci si potrà più adagiare sugli allori. Non ci potremo più permettere di vedere buona parte degli italiani, appartenenti a categorie da sempre a noi vicine, portare avanti una protesta disperata che non trova ascolto nel Palazzo.
Per essere validi interlocutori della società civile c’è bisogno di un Popolo della Libertà rinnovato, che abbia a tutti i livelli e soprattutto nelle istituzioni, rappresentanti capaci di leggere i fenomeni sociali e rappresentare concretamente gli interessi della gente.
Se saremo in grado di affrontare queste riflessioni, anche a costo di qualche sacrificio, saremo pronti in vista delle prossime elezioni a riportare il primato della Politica sull’economia a salvaguardia dell’intero popolo italiano e contro quella finanza apolide che da sempre fronteggiamo a difesa della nostra Italia


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